Fiore Crudo e Vapore – Nuova Apertura

Qualche giorno fa è stato inaugurato un nuovo tempio della filosia crudista (ma non solo) in zona Quartiere Ludovisi.

Il ristorante si presenta con uno spazioso e luminosissimo open space con cucina a vista,arredamento che vira al modaiolo scandinavian style ed il forte parallelismo tra cucina crudista e cucina tradizionale (Per non parlare della vasta scelta di Smoothies,Centrifughe & Healthy Drinks).

Quindi materie prime selezionate  con la consulenza dello chef Vito Cortese (scuola Matthew Kenney). Si mangia a pranzo, aperitivo e cena. E pure in terrazza.

Cucina Crudista – Di cosa si tratta?

La dieta crudista è un regime alimentare naturista che si distingue per un unico grande comandamento: NON cuocere il cibo.
I primi fondamenti della dieta crudista sono riconducibili al “Vangelo della Pace”, testo sacro appartenente al ceppo ebraico degli Esseni, mentre nell’ultimo secolo la sua diffusione è da imputarsi soprattutto ai medici “indipendenti o naturisti” come H.M. Shelton.

Una citazione molto importante per i sostenitori della dieta crudista è quella di Gandhi, nel suo ultimo libro del 1949, “Regime e riforma alimentare”:

Per liberarsi da una malattia, occorre sopprimere l’uso del fuoco nella preparazione del pranzo

Attualmente, la dieta crudista o Raw Food è uno stile alimentare che va molto di moda negli USA, grazie alla sua diffusione tra le celebrità di Hollywood; il suo successo è riconducibile soprattutto ad una presunta azione anti-età (anti-aging) degli alimenti crudi e alla divulgazione di un principio secondo il quale l’alimentazione umana NASCE cruda e tale deve rimanere, in quanto il calore, come tecnica di lavorazione del cibo, rappresenta un’innovazione recente, di scarsa utilità o addirittura di dubbia salubrità.
Secondo la dieta crudista, l’utilizzo del fuoco in cucina inibisce la percezione della sazietà, induce un’eccessiva palatabilità e conferisce ai cibi una consistenza “morbida”, rendendoli poco naturali; alla cottura vengono imputate la distruzione vitaminica, enzimatica, degli auxoni e la coagulazione proteica.

In definitiva, la dieta crudista rinuncia al trattamento termico tradizionale delle vivande, considerando il cibo cotto alla stregua di una sgradevole zavorra per l’organismo.

Tornando a noi , oggi ho provato questo ristorante e mi sono trovata davvero bene.

Chiariamo subito che non si tratta di un posto super cheap ma neanche di un ristorante da inserire tra i più costosi.

Io ho preso questo paniere al vapore di carne (Prezzo €15,00)

e questo Smoothies Healthy chiamato “Pan” (Prezzo € 7,50 per la dimensione Medium)

Certamente tornerò ad assaggiare tutte le altre numerose varianti del menù!

P.s. La mia collega ha preso questi spaghetti di zucchine e pesto che sembrano veramente deliziosi,no?

Qui il sito ufficiale : http://www.fiore.roma.it/

Indirizzo : Via Boncompagni, 31/33 – Roma

Per prenotazioni : Tel. 06 42020400 –  info@fiore.roma.it

 

Venezia la Bella…Padova sua sorella!

Un mese fa circa sono stata a Padova.

Non era la prima volta ma quando andai fu solo per visita la Bellissima Cappella dei Scrovegni (In realtà, quella “semplice costruzione” come la definì lo stesso Giotto, ospita il più importante ciclo di affreschi del mondo).

Se passate per Padova stupitevi ammirando il cielo stellato sotto il quale si svolgono gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), quelli della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo. Stupitevi un pochino di più pensando che Giotto ci mise solo due anni a completare il tutto. Nel 1303 riceve l’incarico da Enrico Scrovegni e nel 1305 ha già terminato. Enrico volle costruire la Cappella in suffragio dell’anima del padre, Reginaldo Scrovegni, che di cose da farsi perdonare ne aveva molte. Banchiere e usuraio, talmente famoso e temuto, da essere collocato da Dante nell’inferno della Divina Commedia. Con la Cappella degli Scrovegni, Giotto cominciò la rivoluzione della pittura moderna.

Sono tornata poichè il nonno del mio ragazzo è originario di un paesino a pochi Km di distanza,Arquà Petrarca,ragion per cui abbiamo deciso di passare un week end tutti insieme nella sua casa!

Il venerdì di quel week end lo abbiamo passato per metà giornata a Padova,riuscendo a vedere parecchie cose :

Basilica di Sant’Antonio a Padova

I padovani chiamano Sant’Antonio “Il Santo“, senza aggiungere il nome. Questo fa comprendere non solo l’affetto ma anche l’importanza per Padova della Basilica che ospita le reliquie di Sant’Antonio.

Meta di un pellegrinaggio senza sosta che raggiunge il culmine con la processione del 13 giugno, la Basilica di Sant’Antonio merita una visita anche per la presenza di molti capolavori dell’arte italiana. La prima cosa che si nota è la compresenza di stili diversi dovuti agli interventi che si sono susseguiti: la facciata romanica, il deambulatorio gotico con le sette cappelle, le cupole bizantine i campanili moreschi. All’interno, partendo da destra, si susseguono la Cappella del Gattamelata e quella di San Giacomo affrescata nel 1300 da Andriolo de Santi, uno dei maggiori architetti e scultori veneziani d’allora. Subito dopo c’è la Cappella della Crocifissione e poi la Sala del Capitolo, con un frammento di Crocifissione attribuito a Giotto. Il “Tesoro della Basilica” con le reliquie del Santo si trova al centro del Deambulatorio. In diverse teche sono visibili la lingua e il mento intatti di Sant’Antonio, segno, secondo la Chiesa, del riconoscimento che Dio ha voluto dare all’instancabile opera di evangelizzazione del Santo. Nella Piazza antistante la basilica da non perdere Il monumento equestre al Gattamelata, statua in bronzo di Donatello, autentica rivoluzione nella storia dell’arte: è stata la prima statua equestre di grandi dimensioni svincolata da altri elementi architettonici.

Piazza delle Erbe e della Frutta a Padova

Da secoli, Piazza delle Erbe, è il luogo di Padova deputato al mercato. I nomi che si sono susseguiti per definire questo ampio spazio ne hanno sempre indicato l’origine e la funzione commerciale: “Piazza della Biada“, “Piazza Del Vino“, così come le scale dell’imponente Palazzo Ragione venivano chiamate “Scala delle Erbe” perché ci si mettevano i venditori di lattughe, cipolle, porri, verze o “Scala del vino” o la “Scala dei ferri lavorati“.

In realtà anche i nomi delle vie circostanti la piazza tradiscono la loro funzione commerciale: osti, macellai, fruttivendoli, ogni angolo aveva una specializzazione. Alle spalle di Piazza delle Erbe, divisa dal Palazzo della Ragione, c’è l’altra piazza commerciale di Padova: è Piazza della Frutta. Anche in questo caso il nome tradisce origine e funzione originaria, anche se adesso ospita un mercato in cui si vendono quasi esclusivamente abiti. Da notare il Peronio, una colonna medievale il cui nome deriva dal latino perones, le calzature in cuoio che qui venivano vendute.

Le due piazze sono unite dal “Volto della Corda” o “Canton delle busie“, passaggio coperto chiamato così perché qui i bugiardi, i falliti, gli imbroglioni e i debitori venivano colpiti sulla schiena con una corda. Le corde rimanevano sempre appese a cinque anelli di pietra infissi nel muro come monito. L’angolo sotto al “Volto della Corda” prende il nome di “Canton delle busie” (angolo delle bugie) perché qui i commercianti tenevano le loro trattative. Sono ancora oggi visibili le pietre bianche con le antiche misure padovane, riferimento per impedire che i venditori imbrogliassero i clienti.

Palazzo della Ragione a Padova

Su Piazza delle Erbe affaccia il più imponente palazzo nonché simbolo di Padova: è Palazzo della Ragione (1208 circa) nei secoli sede del Tribunale, da cui prende il nome. I padovani lo chiamano anche “Il salone” perché il primo piano è in realtà un unico ambiente a forma di salone, per molti secoli il più grande del mondo, a cui si accede dalla “Scala delle Erbe” in Piazza delle Erbe.

L’interno del palazzo è stupefacente: un unico ambiente lungo 80 metri e largo 27, completamente affrescato. Doveva essere ancora più bello quando c’erano gli affreschi di Giotto, distrutti durante l’incendio del 1420. Il ciclo pittorico all’interno del palazzo è uno dei più grandi al mondo: si susseguono motivi zodiacali, astrologici, religiosi, animali, che simboleggiano le attività della città, nei diversi periodi dell’anno e l’intervento dei giudici del palazzo per derimere le questioni. Nel Salone è conservata laPietra del Vituperio“, un blocco di porfido nero di su cui i debitori insolventi erano obbligati a spogliarsi e battere per tre volte le natiche prima di essere costretti a lasciare la città. Questa pratica ha dato origine all’espressione restar in braghe de tea. Davanti al Salone (accanto al Palazzo Comunale) c’è il “Palazzo delle Debite“, adibito a prigione a cui si accedeva direttamente dal Palazzo della Ragione con un passaggio ormai distrutto.

Prato della Valle a Padova

I padovani sono fieri della grandezza di Prato della Valle (88620 mq), una piazza che per estensione totale è seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Per comprendere quanto effettivamente sia grande, basta pensare che è formata da un’isola centrale, completamente verde, chiamata Isola Memmia in onore del podestà che commissionò i lavori.

Intorno all’isola c’è una canale di circa 1,5 km di circonferenza, circondato da una doppia fila di statue numerate (78) di personaggi famosi del passato. Per raggiungere l’isola centrale ci sono 4 viali incrociati con relativi ponti sul canale. Prato della Valle sorge in un luogo da sempre fulcro della vita di Padova: qui c’era un grande teatro romano e un circo per le corse dei cavalli. Qui furono martirizzati due dei quattro patroni della città, Santa Giustina e San Daniele. Nel Medioevo si svolgevano fiere, giostre e feste pubbliche. Oggi in Prato della Valle turisti e padovani passeggiano, vanno in bici, prendono il sole d’estate o fanno tardi la sera. Dopo anni di abbandono, la Piazza ha finalmente ripreso la sua centralità nella vita di Padova.

Duomo e Battistero di Padova

La Basilica di Sant’Antonio prende gran parte dell’attenzione dei turisti che si recano a Padova, mettendo in secondo piano il Duomo e il Battistero. Il Duomo, dedicato a Santa Maria Assunta, fu costruito a partire dal 1522 su progetto di Michelangelo Buonarroti.

La facciata su cui si aprono i tre portali è incompleta mentre l’interno è ampio e armonioso anche se di non particolare originalità. Molto più bello è il Battistero adiacente al Duomo con un ciclo di affreschi considerato il capolavoro di Giusto de’ Menabuoi. Appena si alza lo sguardo verso la cupola ci si sente osservati da centinaia di occhi di angeli e santi e lo sguardo severo del Cristo Pantocratore al centro della scena. Sulle altre pareti e sui pennacchi sono rappresentate “Storie della Genesi“, “Profeti ed evangelisti” e le “Storie di Cristo e del Battista“.

Santa Giustina

Il grandioso e celebre tempio di Santa Giustina, che secondo alcuni studiosi sorgerebbe sulle rovine di un tempio pagano, è la più importante opera architettonica di Padova e il più antico luogo di culto della città.
La chiesa, straordinariamente affascinante per la sua posizione laterale ed asimmetrica rispetto a Prato della Valle, venne fondata intorno al V secolo su un luogo cimiteriale in memoria della martire Giustina: una giovane patrizia cittadina che fu martirizzata nel 304 nella feroce persecuzione di Massimiliano. Secondo la tradizione il padre della martire, Vitaliano, alto funzionario imperiale che pare fosse stato convertito al cristianesimo da San Prosdocimo, fece costruire il primo nucleo della chiesa che sarebbe diventata la sede della prima cattedrale della città cristiana.
Alla Chiesa fu annesso successivamente un monastero benedettino e il complesso si arricchì progressivamente di beni e reliquie. Dopo la ricostruzione, a seguito del terremoto del 1117, la chiesa fu demolita nel 1502 per dar posto all’attuale colosso, realizzato tra il 1532 e il 1579 da diversi architetti, e in particolare da Andrea Moroni e Andrea da Valle.

La facciata, che sarebbe dovuta essere ricoperta di marmo, probabilmente bianco, non fu mai portata a termine.
Sulla gradinata si possono ammirare due grifi in marmo rosso di Verona appartenenti al portale duecentesco.
Furono inoltre necessari 85 anni per arrivare alla copertura del tetto che richiese enormi quantità di denaro e di materiali. Ed è per queste ragioni che quando si pensa ad un lavoro interminabile, si dice: “…longo come a fabrica de Santa Giustina”.
La facciata in ruvida pietra è d’altra parte entrata a pieno titolo nell’immagine acquisita, in tutto ciò aiutata dall’orizzonte delle otto cupole, che le danno un aspetto rotondeggiante, e dal campanile poggiante sul predecessore medievale, che nasconde interessanti elementi delle fabbriche anteriori e che domina la vastissima mole della Basilica.

L’interno, vasto e luminoso, uno dei massimi capolavori dell’architettura rinascimentale, è a croce latina e si presenta diviso da grandi pilastri in tre navate. La luce entra attraverso le cupole finestrate. Per dimensioni (122 metri di lunghezza) Santa Giustina è la nona tra le chiese del mondo, segnata anche nel pavimento della Basilica di S. Pietro a Roma.
Partendo dalla navata di destra, dietro l’Arca di San Mattia si apre un suggestivo passaggio per il Pozzo dei Martiri (1566) dove sono raccolte tutte le reliquie dei martiri padovani, ornato da quattro statue in terracotta; sulla destra una gabbia in ferro che conteneva le reliquie di San Luca. Di qui giungiamo al Sacello di S. Prosdocimo (il sacello è una piccola cappella votiva) con ricche decorazioni marmoree e musive (di mosaico), fatto costruire alla fine del VI secolo.
Tornati in chiesa attraverso il transetto e la cappella dedicata a San Massimo, nota per il movimentato gruppo marmoreo di Filippo Parodi raffigurante la Pietà, si accede alla trecentesca Cappella di S. Luca.
L’ancona (tavola dipinta) di Andrea Mantegna che era posta sopra l’Arca di San Luca, opera pisana del 1316 con bellissimi rilievi in alabastro, fu asportata da Napoleone e oggi si trova alla Pinacoteca Brera di Milano.
Una lapide in marmo nero ricorda la sepoltura della veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, morta nel 1684 a soli 38 anni, la prima donna laureata nel mondo (1678).
Attraverso il Coro vecchio, che era l’abside della chiesa precedente (1462), con 50 stalli e sedili in noce, si accede all’antisagrestia, dove è custodito l’architrave del portale romanico della basilica vecchia (1080 circa).
La sagrestia (1462) racchiude arredi lignei seicenteschi.
Notevolissimi gli intagli e i decori del cinquecentesco coro, dove la pala (Martirio di S. Giustina, 1575 circa) all’altare di fondo è di Paolo Veronese.
La cappella a sinistra del presbiterio reca nella volta e nel catino affreschi di Sebastiano Ricci.

Il ricco monastero, che in passato accolse personaggi illustri e papi, fu soppresso da Napoleone Bonaparte nel 1810 e trasformato in caserma e ospedale militare. Ritornò ai monaci nel 1919 e fu eretto nuovamente in Abbazia nel 1943.
E’ possibile visitarne il Chiostro del Capitolo, costruito nel XII secolo in stile romanico e il Chiostro Maggiore, chiamato anche Chiostro Dipinto per i molti affreschi che lo decoravano.
La biblioteca monastica medioevale, con i suoi arredi, i suoi scaffali scolpiti in legno pregiato, le ricche tappezzerie, le raccolte d’arte, incrementate da lasciti e donazioni, e i suoi 80.000 volumi, aveva raggiunto l’apice nel XVIII secolo, ma a seguito di un decreto di Napoleone fu soppressa. Gli scaffali furono portati nella Sala dei Giganti della Reggia Carrarese, ora Liviano, ma purtroppo furono tanti i libri e i capolavori d’arte dispersi.

Caffè Pedrocchi (Assaggiate il Pedrocchino,caffè buonissimo!!!)

Il Caffè Pedrocchi è un caffè storico di fama internazionale, situato nel pieno centro di Padova, in via VIII febbraio nº 15.

Aperto giorno e notte fino al 1916 e perciò noto anche come il “Caffè senza porte“, per oltre un secolo è stato un prestigioso punto d’incontro frequentato da intellettuali, studenti, accademici e uomini politici.

L’8 febbraio 1848, il ferimento al suo interno di uno studente universitario diede il via ad alcuni dei moti caratterizzanti il Risorgimento italiano e che sono ancora oggi ricordati nell’inno ufficiale universitario, Di canti di gioia.

Tra Settecento e Ottocento il consumo del caffè si è diffuso anche in Italia e si è andata così affermando la tradizione del caffè come circolo borghese e come punto d’incontro aperto, in contrapposizione alla dimensione privata dei salotti nobili. A Padova la presenza aggiuntiva di oltre tremila persone tra studenti, commercianti e militari fece sì che, più che in altri centri cittadini, si sviluppasse questo tipo di attività.

In questo contesto, nel 1772 il bergamasco Francesco Pedrocchi apre una fortunata “bottega del caffè” in un punto strategico di Padova, a poca distanza dall’Università, dal Municipio, dai mercati, dal teatro e dalla piazza dei Noli (oggi Piazza Garibaldi), da cui partivano diligenze per le città vicine, e dall’Ufficio delle Poste (oggi sede di una banca).

Il figlio Antonio, ereditata la fiorente attività paterna nel 1800, dimostra subito capacità imprenditoriali decidendo di investire i guadagni nell’acquisto dei locali contigui al suo e, nel giro di circa 20 anni, si ritrova proprietario dell’intero isolato, un’area pressappoco triangolare delimitata a est dalla via della Garzeria (oggi via VIII febbraio), a ovest da via della Pescheria Vecchia (oggi vicolo Pedrocchi) e a nord dall’Oratorio di San Giobbe (oggi piazzetta Pedrocchi).

Il 16 agosto 1826 Antonio Pedrocchi presenta alle autorità comunali il progetto per la costruzione di uno stabilimento, comprendente locali destinati alla torrefazione, alla preparazione del caffè, alla “conserva del ghiaccio” e alla mescita delle bevande. Prima di questo cantiere, Pedrocchi aveva incaricato un altro tecnico, Giuseppe Bisacco, di eseguire i lavori di demolizione dell’intero isolato e di costruire un edificio ma, insoddisfatto del risultato, aveva richiesto a Giuseppe Jappelli, ingegnere e architetto già di fama europea e esponente di spicco della borghesia cittadina che frequentava il caffè, di riprogettare il complesso dandogli un’impronta elegante e unica.

Nonostante le difficoltà determinate dal dover disegnare su una pianta irregolare e dal dover coordinare facciate spazialmente diverse, Jappelli fu in grado di progettare un edificio eclettico che trova la sua unità nell’impianto di stile neoclassico. L’illustre veneziano volle trasferire in architettura la sua visione laica e illuminista della società, creando quello che poi diverrà uno degli edifici-simbolo della città di Padova.

Il piano terreno fu ultimato nel 1831, mentre nel 1839 venne realizzato il corpo aggiunto in stile neogotico denominato “Pedrocchino”, destinato ad accogliere l’offelleria (pasticceria). In occasione del “IV Congresso degli scienziati italiani” (evento dal titolo significativo, visto che Padova si trovava ancora sotto la dominazione asburgica), nel 1842 si inaugurarono le sale del piano superiore che, secondo il gusto storicizzante dell’epoca, erano state decorate in stili diversi, creando un singolare percorso attraverso le civiltà dell’uomo.

Per la loro realizzazione Jappelli si avvalse della collaborazione dell’ingegnere veronese Bartolomeo Franceschini e di numerosi decoratori, tra cui il romano Giuseppe Petrelli, al quale si deve la fusione delle balaustre delle terrazze con i grifi, i bellunesi Giovanni De Min, ideatore della sala greca, Ippolito Caffi della sala romana e Pietro Paoletti della sala pompeiana (o “ercolana”), il padovano Vincenzo Gazzotto, pittore del dipinto sul soffitto della sala rinascimentale.

Le sale del piano superiore erano destinate a incontri, convegni, feste e spettacoli e il loro utilizzo veniva concesso ad associazioni pubbliche e private che, a vario titolo, potevano organizzare eventi.

Antonio Pedrocchi si spense il 22 gennaio 1852. Animato dalla volontà di lasciare la gestione del suo caffè a una persona di fiducia, aveva adottato Domenico Cappellato, il figlio di un suo garzone, che alla morte del padre putativo si impegnò nel dare continuità all’impresa ricevuta in eredità, pur cedendo in gestione le varie sezioni dello stabilimento.

Alla morte di Cappellato, avvenuta nel 1891, il caffè passa al Comune di Padova. In un testamento stilato alcuni mesi prima, Cappellato lasciava infatti lo stabilimento ai suoi concittadini:

« Faccio obbligo solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l’uso dello Stabilimento come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia »
(Dal testamento di Domenico Cappellato Pedrocchi)

La decadenza

Uno scorcio della Sala Rossa al piano terra del caffè

Un inevitabile degrado dovuto alle difficoltà determinate dalla grande guerra caratterizzerà il caffè negli anni tra il 1915 e il 1924. In quest’ultima data hanno inizio i lavori di restauro del “Pedrocchino”, che si protrarranno fino al 1927. Negli anni successivi va purtroppo dispersa gran parte degli arredi originari disegnati dallo stesso Jappelli, che verranno sostituiti via via nell’epoca fascista.

Dopo la seconda guerra mondiale, con il progetto dell’architetto Angelo Pisani che si impone contro quello di Carlo Scarpa, mai preso in considerazione dall’amministrazione comunale, si avvia un nuovo restauro che ridefinisce i vani affacciati sul vicolo posteriore, trasforma lo stesso vicolo in una galleria coperta da vetrocemento e ricava alcuni negozi, un posto telefonico pubblico e una fontana in bronzo sventrando parte dell’Offelleria, del Ristoratore e demolendo la Sala del Biliardo.

Nonostante le proteste di molti cittadini e le perplessità della Soprintendenza ai monumenti, viene sostituito lo storico bancone in marmo con banchi di foggia moderna, viene installata una fontana luminosa al neon e le carte geografiche della sala centrale, caratterizzate dalla rappresentazione rovesciata delle terre emerse (curiosamente il sud viene rappresentato in alto) vengono sostituite da specchi.

Per buona parte degli anni ottanta e novanta il Pedrocchi rimane chiuso per difficoltà tra i titolari della gestione e il Comune; nel 1994 viene finalmente deciso il recupero dei locali e all’architetto Umberto Riva e ai collaboratori M. Macchietto, P. Bovini e M. Manfredi viene affidato il compito di rimediare ai danni provocati dal devastante restauro Pisani degli anni cinquanta e di riportare all’antico splendore i locali dello storico caffè.

Dopo l’esecuzione del primo stralcio di lavori, il 22 dicembre 1998 il caffè viene restituito ai cittadini di Padova.

Architettura

Il Caffè Pedrocchi si configura come un edificio di pianta approssimativamente triangolare, paragonata a un clavicembalo. La facciata principale si presenta con un alto basamento in bugnato liscio, guarda verso est e si sviluppa lungo la via VIII febbraio; su di essa si affacciano le tre sale principali del piano terra: la Sala Bianca, la Sala Rossa e la Sala Verde, così chiamate dal colore delle tappezzerie realizzate dopo l’Unità d’Italia nel 1861.

La Sala Rossa è quella centrale, divisa in tre spazi, è la più grande e vede attualmente ripristinato il bancone scanalato di marmo così come progettato da Jappelli. La Sala Verde, caratterizzata da un grande specchio posto sopra al camino, era per tradizione destinata a chi voleva accomodarsi e leggere i quotidiani senza obbligo di consumare. È stata pertanto ritrovo preferito degli studenti squattrinati e a Padova si fa risalire a questa consuetudine il modo di dire essere al verde. La Sala Bianca, si affaccia verso il Bo, conserva in una parete il foro di un proiettile sparato nel 1848 dai soldati austro-ungarici contro gli studenti in rivolta contro la dominazione asburgica. Inoltre, è anche nota come ambientazione scelta da Stendhal per il suo romanzo “La certosa di Parma”. Completa il piano terra la Sala Ottagona o della Borsa, dall’arredo non troppo raffinato, destinata in origine alle contrattazioni commerciali.

A sud il caffè termina con una loggia sostenuta da colonne doriche e affiancata dal corpo neo-gotico del cosiddetto “Pedrocchino”. Quest’ultimo, è costituito da una torretta a base ottagonale che rappresenta una fonte di luce, grazie alle finestre disposte su ogni lato. Inoltre, al suo interno è presente una scala a chiocciola. Due logge nello stesso stile si trovano dislocate sul lato nord, e davanti a queste si trovano quattro leoni in pietra scolpiti dal Petrelli, che imitano quelli in basalto che ornano la cordonata del Campidoglio a Roma.

Tra le due logge del lato nord si trova una terrazza delimitata da colonne corinzie.

Il piano superiore o “piano nobile” è articolato in dieci sale, ciascuna decorata con uno stile diverso:

  1. Etrusca
  2. Greca
  3. Romana: caratterizzata da una pianta circolare;
  4. Stanzino barocco
  5. Rinascimentale
  6. Gotica-medievale
  7. Ercolana o pompeiana: tipici sono i decori che ricordano le ville romane;
  8. Rossini: è la stanza più grande, infatti riproduce la stessa planimetria della sala Rossa del piano terra. In questa stanza, dedicata a Rossini e Napoleone, possiamo osservare degli stucchi a tema musicale che ne rappresentano simbolicamente la destinazione d’uso.
  9. Moresca: molto piccola;
  10. Egizia: ai quattro angoli della stanza troviamo dei piedistalli che sorreggono una finta trabeazione, e diversi attributi che ci rimandano alla cultura egiziana.

La chiave di lettura di questo apparato decorativo può essere quella romantica di rivisitazione nostalgica degli stili del passato. Non è esclusa però una chiave esoterica o massonica (Jappelli era un affiliato all’associazione). I simboli egizi precedono la decifrazione della scrittura geroglifica da parte di Champollion e sono piuttosto un omaggio al grande esploratore padovano Giovanni Battista Belzoni, che aveva scoperto numerosi monumenti egizi e di cui Jappelli aveva conoscenza diretta.

P.s.Tra gli studenti padovani esiste una superstizione, dovuta probabilmente agli avvenimenti del 1848, secondo la quale non si deve entrare al Caffè Pedrocchi prima di essersi laureati, pena l’impossibilità di conseguire la laurea stessa.

I Macchiaioli a Roma

Ieri sera ho partecipato alla Blogger Night  al Chiostro del Bramante, dove ,fino al 4 Settembre è presente la Mostra “I Macchiaioli”.

Il termine “Macchiaioli” venne coniato nel 1862 da un recensore della «Gazzetta del Popolo» che così definì quei pittori che intorno al 1855 avevano dato origine ad un rinnovamento anti-accademico della pittura italiana in senso verista.

Al Caffè Michelangelo a Firenze, attorno al critico Diego Martelli, un gruppo di pittori dà vita al movimento dei macchiaioli.

Questo movimento vorrebbe rinnovare la cultura pittorica nazionale. La poetica macchiaiola è verista opponendosi al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo accademico, e sostiene che l’immagine del vero è un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro, ottenuti tramite una tecnica chiamata dello specchio nero, utilizzando uno specchio annerito con il fumo permettendo di esaltare i contrasti chiaroscurali all’interno del dipinto. L’arte di questi pittori consisteva “nel rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri”

La mostra è veramente fantastica e la location affascinante e suggestiva (e tra l’altro si trova nella mia zona preferita di Roma per uscire a divertirmi,dietro Piazza Navona!

Vi lascio solo una foto perchè non voglio togliervi il piacere di gustarvi la mostra!

Sotterranei di Roma

Domenica ho fatto il mio primo percorso con l’associazione Roma Sotterranea !

Il primo di tanti spero,perchè mi è piaciuto davvero tanto!

Il tema del percorso era LA MASSONERIA A ROMA

La visita partiva da piazza campo de fiori per poi finire a Piazza Navona.

Non metto foto ne la descrizione personale perchè non vorrei rovinarvi il percorso…

Ecco però la descrizione sul SITO UFFICIALE :

Avete mai sentito parlare dei Rosacroce? Probabilmente no. Esso fu un ordine segreto e mistico tra i più importanti a Roma che si sviluppò sulle orme massoniche.
Molti, ancora oggi, sono i simboli massonici di cui è intrisa Roma; simbolismi che derivano da più antichi culti Egizie che hanno un forte legame con il mondo Ermetico, intriso della cultura Alchemica e Magica (Rinascimentale, Barocca, Iluministica, Neoclassica, Romantica, Decadentista e Liberty) è l’elemento catalizzante.
I simboli del Paganesimo, attraverso la teologia egizia sono un enome bagaglio esoterico che non a caso diventa parte dei rituali massonici insieme ad altri segni ancestrali dell’Antichità, alcuni usati anche nel Cristianesimo. L’esoterismo e il misticismo Cristiano sono elementi degli ordini religiosi misterici del passato come Templari, Ordine dei Cavalieri di Rodi e dei Cavalieri di Malta. Questi non si discostano dalle “Sette Massoniche”. Il terzo spirito coinvolge le associazioni, club di intellettuali solo dell’ambito culturale. A questi appartengono riunioni di gabinetti, pamphlet ecc L’Ermetismo tocca tematiche e sfere simili alle “ricerche” massoniche.

Io sono andata prendendo il deal su groupon….penso proprio che a breve farò un nuovo acquisto!

Roma – Arriva la prima Bibliocabina…scommesse sulla durata?

Tutto pronto nella Capitale per l’inaugurazione della BiblioCabina. L’11 ottobre presso il parco Montanelli di Torresina partirà l’iniziativa con lo scopo di pubblicizzare il BookCrossing.

Il BookCrossing è un modo per incoraggiare la condivisione del sapere attraverso lo scambio continuo di libri. I libri stessi vengono laciati a disposizione di coloro che li vogliono leggere, una volta ultimata la letura vengono restituiti per i nuovi lettori.

Per partecipare al BookCrossing basta iscriversi al sito (Bookcrossing.com), registrare il libro per ottenere un BCID, cioè un codice identificativo che ci permette di seguire il volume durante i suoi spostamenti. Chi ritrova il libro è invece invitato a segnalare il ritrovamento sul sito e a rilasciarlo, dopo la sua lettura, per offrire la sua stessa opportunità ad altre persone.

La biblio cabina seguirà un andamento analogo. Per evitare furti o che i libri vengano rimessi in vendita saranno tutti timbrati e messi a disposizione di coloro che vorranno leggerli, proprio come una qualunque biblioteca.

A Roma l’iniziativa è nata dal comitato di quartiere Torresina insieme alle associazioni H2, Scaffali e Alberoandronico, con il sostegno di Telecom Italia che in questo modo darà nuova vita alle cabine telefoniche in disuso.

Andy Warhol

Pochi giorni ancora (chiude il 28 settembre) per la fantastica mostra di Andy Warhol a Palazzo Cipolla,Roma.

L’ingresso costa 14 euro (che facilmente diventano 12 –> QUI maggiori informazioni per ottenere il biglietto ridotto)e li vale veramente tutti.

Una mostra ricca e completa dei vari momenti artistici del mito del pop.

Ecco alcuni miei scatti :

La vita è troppo breve per prendersela per uno stupido errore.

 Andy Warhol 

Un posto dove vorrei tornare : Bomarzo.

« Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi. »
 
QUI invece il sito ufficiale
 

Come Arrivare

Distanze chilometriche per Bomarzo: 

A1 Uscita – Attigliano Km 4 
Roma 105 Km
Firenze 215 Km
Perugia 114 Km
Terni 50 Km
Civitavecchia 76 Km
Gubbio 140 Km
Caprarola 32 Km
Viterbo 21 Km
Bagnaia 14 Km
Tarquinia 62 Km
San Martino al Cimino 29 Km
Civita di Bagnoregio  36 Km
Soriano nel Cimino 11 Km
Orvieto 41 Km
Orte 15 Km
Grosseto 156 Km

AUTO
– Da Viterbo:
Si trova a circa 20 Km. dal capoluogo della Tuscia e vi si giunge percorrendo la superstrada Viterbo-Orte uscita Bomarzo.

– Autostrada A1:
Uscita Attigliano, poi direzione Bomarzo

TRENO
Fermata Stazione: 
– Orte Scalo poi prendere Autobus direzione Bomarzo
– Viterbo poi prendere Autobus direzione Bomarzo
info orari: http://www.cotralspa.it

 

Contatti

Parco dei Mostri
loc. Giardino s.n.c
01020 Bomarzo
(VT) Italy

Tel./fax 0761/924029

E-mail: info@parcodeimostri.com

(Ho una foto scattata qua davanti alla tenera età di 6 anni *_*)

Mi ricordo la paura di entrare in questa casa storta!!

Meraviglia *_*

Biblioteca Vaticana

All’incirca un mese fa…la giornata più bella della mia vita.

Conoscete oramai da tempo la mia passione innata per l’arte e la storia.Questa mi ha spinto a provare (disperatamente oserei aggiungere)a chiedere l’accesso alla famosissima BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA.

Per chi non la conoscesse…

La Biblioteca apostolica vaticana è la biblioteca che la Santa Sede ha organizzato e curato in Vaticano a partire dal Quattrocento; possiede una delle raccolte di testi antichi e di libri rari fra le più importanti al mondo.

I precedenti

La documentazione storica attesta l’esistenza nel IV secolo di uno Scrinium, che doveva essere sia la biblioteca sia l’archivio della Chiesa latina, mentre un documento del 784 (sotto il pontificato di Adriano I) parla del bibliothecarius Teofilatto. Lo Scrinium papale andò comunque disperso nel XIII secolo e le successive raccolte librarie, di cui esiste un inventario realizzato durante il papato di Bonifacio VIII (1294-1303), subirono gravi perdite dopo la sua morte in seguito ai continui spostamenti (a Perugia prima, poi ad Assisi e infine ad Avignone). In Francia, Giovanni XXII (1316-1334) avviò una nuova biblioteca, in parte confluita nel Seicento in quella della famiglia Borghese e ritornata con questa nel 1891 alla Santa Sede.

La nascita

Fu l’umanista e bibliofilo Tomaso Parentucelli (papa dal 1447 al 1455 con il nome di Niccolò V) il primo a concepire l’idea di una biblioteca moderna, realizzando una consistente raccolta di antichi codici e liberalizzandone nel 1451 la consultazione a studiosi ed eruditi in una sala al pianterreno del Vaticano annessa al cosiddetto Cortile dei pappagalli. Passata dai 350 codici della biblioteca avignonese ai 1200 registrati alla morte di Niccolò V, quella collezione costituì il primo nucleo della futura biblioteca.

L’istituzione ufficiale della Biblioteca apostolica vaticana risale infatti a papa Sisto IV e alla bolla Ad decorem militantis Ecclesiae del 15 giugno 1475. Subito dopo, il 18 giugno, ebbe inizio l’attività del suo primo gubernator et custos: il precettore umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina dal suo paese natale Piadena, da cui dipendevano tre collaboratori e un legatore. La nuova biblioteca raccolse i manoscritti, i codici, i fondi, le raccolte di Sisto IV e dei suoi predecessori: 2500 opere (divenute 3500 sei anni dopo), distribuite in quattro sale (la Bibliotheca Latina e la Bibliotheca Graeca per i testi nelle rispettive lingue, la Bibliotheca Secreta per quelli esclusi dalla consultazione e dal prestito esterno, la Bibliotheca Pontificia che fungeva da archivio) decorate con un ciclo di pitture realizzate da Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano e dai fratelli Domenico e David Ghirlandaio.

La sua finalità è stata ricordata da papa Paolo VI nel Discorso nel V centenario della Biblioteca Apostolica Vaticana:[1] la biblioteca “veniva dotata, cioè, di un abbondante e prezioso, anzi inestimabile, patrimonio librario, per metterlo a disposizione degli studiosi, nelle diverse fasi della consultazione, della lettura, del riscontro e della sintesi conclusiva”.

La nuova sede

Un secolo dopo, la sede iniziale risultò inadeguata a contenere tutto il materiale continuamente accresciuto dai pontefici con nuove acquisizioni e con l’avvento dei libri a stampa. Così, fra il 1587 e il 1589, papa Sisto V commissionò all’architetto ticinese Domenico Fontana la costruzione di un nuovo edificio (il braccio trasversale attraverso il cortile del Belvedere) nel quale i volumi furono sistemati in armadi appositamente predisposti e dove, al piano più alto, si ricavò il Salone Sistino, un’enorme aula a due navate totalmente decorate che, con i suoi 70 metri x 15, risultò la più lunga al mondo. Ivi rimasero fino al pontificato di Leone XIII (1878-1903). Ora (2010) la biblioteca è in fase di parziale ristrutturazione per un riordino più moderno per rendere più comodo il lavoro esplorativo degli studiosi che annualmente (dati del 2007) accedono alla biblioteca. È in fase di realizzazione (2010) anche la digitalizzazione dell’immenso patrimonio di manoscritti.

La biblioteca si arricchì in seguito di molteplici collezioni bibliografiche. Nel XVIII secolo sorsero le collezioni antiquarie e artistiche, cominciando con il medagliere (1738). Nel 1755 si aggiunsero tre raccolte di oggetti appartenenti all’antichità cristiana, in maggior parte provenienti dalle catacombe romane.

Collezioni

Tra i pezzi più famosi della biblioteca c’è il Codex Vaticanus, il più antico manoscritto completo della Bibbia che si conosca.

La Biblioteca apostolica vaticana contiene oggi:

  • 1.600.000 libri a stampa antichi e moderni
  • 8.300 incunaboli (di essi, 65 in pergamena)
  • 150.000 codici manoscritti e carte di archivio
  • 300.000 monete e medaglie
  • circa 20.000 oggetti di arte.

Dal 1985 esiste un catalogo informatico consultabile in linea dei volumi a stampa moderni.

L’accesso alla biblioteca è consentito unicamente a docenti e ricercatori universitari.

L’attuale prefetto della biblioteca è monsignor Cesare Pasini; dal 25 giugno 2007 al 9 giugno 2012 bibliotecario di Santa Romana Chiesa è stato il cardinale Raffaele Farina.

Parte degli oggetti della biblioteca sono ora esposti nei Musei della biblioteca apostolica vaticana dei Musei vaticani.

 

Se andate sul sito ufficiale QUI potrete vedere che l’ingresso è veramente limitato –>

Sono ammessi alla frequenza:

  • ricercatori e studiosi qualificati noti per i loro titoli e le pubblicazioni di carattere scientifico;
  • docenti e ricercatori universitari o di istituti superiori;
  • studenti laureati che preparano una tesi per ottenere il dottorato di ricerca;
  • eccezionalmente studenti laureandi che documentino di dover consultare del materiale conservato unicamente nella Biblioteca;
  • non sono ammessi studenti di Scuola Media Superiore o universitari.

La mia richiesta di accesso è andata INSPIEGABILMENTE a buon fine e mi è stato permesso di fare un tour della biblioteca di circa 1 ora e 15 minuti.

E’ stato tutto fantastico e incredibilmente affascinante.Un addetto mi ha portato in giro in lungo ed in largo spiegandomi minuziosamente ogni minimo particolare e regalandomi una bellissima brochure informativa.

OVVIAMENTE era proibito fare foto ma sono riuscita a fare qualcosina di soppiatto…

Boh…a me non sembra ancora neanche vero *_*

 

Piero Manzoni

Adoro questo artista.

Ed adoro il suo modo di essere e di fare.

 

Piero Manzoni (Soncino, 13 luglio 1933 – Milano, 6 febbraio 1963) è stato un artista italiano, famoso a livello internazionale per i suoi “Achrome” e “Merda d’artista”.

Piero Manzoni è figlio di Egisto dei conti Manzoni originario di Lugo (RA) e di Valeria Meroni originaria di Soncino. Cresce a Milano, dove terminati gli studi classici presso i Gesuiti, nel Liceo Leone XIII (dove suoi compagni di scuola furono Nanni Balestrini e Vanni Scheiwiller), si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sua famiglia frequenta gli ambienti artistici milanesi[1] e Lucio Fontana, fondatore dello spazialismo, e celebre per i buchi e tagli sulla tela. I suoi primi dipinti sono paesaggi e ritratti di stampo tradizionale ad olio. Nel 1955 inizia a dipingere con impronte di oggetti banali (chiodi, forbici, tenaglie ecc.), trattando, secondo i suoi critici, la superficie della tela come campo di ricezione della realtà.

Nel 1956 partecipa alla “IV Fiera mercato” del Castello sforzesco di Soncino e pubblica il manifesto Per la scoperta di una zona di immagini. Un testo breve, nel quale Manzoni anticipa alcuni punti essenziali delle tesi che svilupperà in altri documenti. Nel 1957 espone, con Ettore Sordini e Angelo Verga, in una collettiva alla galleria Pater di Milano e pubblica il manifesto Per una pittura organica. È inoltre cofirmatario del Manifesto contro lo stile con il Gruppo Nucleare, con cui espone alla mostra “Movimento Arte Nucleare” presso la galleria San Fedele di Milano. Inizia a lavorare sulle tele Ipotesi, con materie come il gesso e la colla.

Nel 1958 mette a punto le “tavole di accertamento” e gli “Achromes” (in francese: incolore). Questi ultimi sono tele o altre superfici ricoperte di gesso grezzo, caolino, su quadrati di tessuto, feltro, fibra di cotone, peluche o altri materiali. Espone alla Galleria Bergamo e tiene una personale alla Galleria Pater di Milano con Enrico Baj e Lucio Fontana.

Nel 1959 abbandona il gruppo dei Nucleari, e stringe legami con Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani. Con quest’ultimo fonda la rivista Azimuth, dove compaiono scritti di Balestrini e Sanguineti e illustrazioni di Klein, Pomodoro, Rauschenberg, Jasper Johns, Piero Dorazio, Novelli e Angeli. Sempre nel 1959, entra in contatto con il Gruppo Zero di Düsseldorf e, oltre a continuare la ricerca sugli “Achrome”, inizia a creare oggetti concettuali come le “Linee” e progetta di firmare corpi viventi come se fossero opere d’arte, rilasciando “certificati di autenticità” (saranno poi intitolate “Sculture viventi” e tra le 71 che firmerà fino al 1961 compariranno anche Umberto Eco, Marcel Broodthaers e Mario Schifano). Produce 45 “corpi d’aria”: comuni palloncini riempiti d’aria che poi saranno chiamati “fiato d’artista”.

Espone alla galleria Il pozzetto di Albissola alcune “Linee”, di varie lunghezze, alcune aperte, altre chiuse in scatole cilindriche nere con etichette arancioni e dicitura che riporta lunghezza, mese e anno di creazione, nonché certificati d’autenticità. Sul finire del 1959 apre, sempre con Castellani, il centro espositivo Azimut; che diventerà luogo di produzione artistica significativo anti-informale. Qui, nel 1960 espone con Klein, Mack e Castellani nella mostra La nuova concezione artistica ed esce il secondo numero della rivista Azimuth contenente il testo Libera dimensione, con cui teorizza lo spazio totale.

Il suo stile diviene più radicale. Oltrepassa la superficie della tela con nuove opere provocatorie: realizza Scultura nello spazio; una sfera pneumatica di 80 cm di diametro, in sospensione su un getto d’acqua. Torna a produrre “corpi d’aria” che sono intitolati Fiato d’artista; palloncini da lui gonfiati, sigillati e fissati su una base di legno. Continua a produrre “Linee”, e il 4 luglio 1960 in Danimarca, grazie al mecenatismo di Aage Damgaard, crea la sua linea più lunga (7200 metri), che sigilla in un cilindro di metallo cromato e seppellisce perché possa essere ritrovata casualmente in futuro.

Il 21 luglio 1960 presenta al centro Azimut la sua performance più famosa: la Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte. Sull’invito:

‘Siete invitati il 21 luglio alle 19, a visitare e collaborare direttamente alla consumazione dei lavori di Piero Manzoni’.

Manzoni firma con l’impronta del pollice alcune uova sode (bollite all’inizio della mostra) che vengono distribuite al pubblico e mangiate sul posto.

Continua a lavorare agli “Achrome”, servendosi dei materiali più disparati, e progetta la Base magica: un piedistallo da lui firmato che, nelle sue intenzioni, eleva al ruolo di opera d’arte ogni persona disposta a salirvici sopra. Espone con Castellani alla galleria La Tartaruga di Roma dove presenta altri “Achrome” e “sculture viventi” che firma in diretta. Ogni scultura è corredata da un documento di autenticità e da un francobollo colorato indicante la sua durata (simile al concetto di scadenza merceologica).

Il 24 aprile, in occasione di una serata con Angeli, firma la sua scarpa destra e la dichiara opera d’arte, facendo lo stesso con una scarpa di Schifano. In maggio inscatola e mette in vendita 90 “Merde d’artista” da 30 gr. al prezzo di altrettanti grammi d’oro ciascuna. Realizza la seconda “Base magica” e la “Base del mondo”; un parallelepipedo in ferro (90 x 100 cm) installato nel parco della fabbrica di Herning capovolto al suolo per eleggere il mondo ad opera d’arte.

Continua a lavorare sugli “Achrome” e nel 1962 espone con il gruppo Zero allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Muore per infarto nel suo studio di Milano, a soli 29 anni, il 6 febbraio 1963

 

Piero Manzoni nei musei

  • Casa museo Boschi-Di Stefano di Milano
  • Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli
  • Museo nazionale delle arti del XXI secolo sez. d’arte figurativa, di Roma
  • Gallerie d’Italia, Milano
  • Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea GAM Torino
  • Tate Gallery, Londra

 

Curiosità e citazioni

  • Sarà zio di un’altra artista, anche lei morta prematuramente, Pippa Bacca.
  • La città di Milano ha dedicato a Piero Manzoni la strada, piccola ma suggestiva davanti al bar Jamaica dove l’artista spesso sostava a discutere, bere o giocare a carte: Vicolo Piero Manzoni, da Piazza San Marco a Via Brera.
  • Viene citato nella canzone Un romantico a Milano dei Baustelle, contenuta nell’album La malavita (2005): “Mamma, che ne dici di un romantico a Milano? Fra i Manzoni preferisco quello vero: Piero“.
  • L’intera canzone degli Skiantos, Merda d’artista, contenuta nell’album Dio ci deve delle spiegazioni (2009), è dedicata alla sua opera più famosa.
  • Il gruppo ManzOni, deve il suo nome proprio a questo artista: la O specificatamente in maiuscolo rappresenta lo stupore del frontman Tenca davanti a un’opera di Piero Manzoni.
  • Suo cugino è il poeta, scrittore, teorico d’arte, pittore Gian Ruggero Manzoni.
  • La canzone de I Cani, Storia di un artista, contenuta nell’album Glamour (2013), fa chiari riferimenti alla sua vita.
  • Citato da Caparezza nella canzone Comunque Dada, contenuta nell’album Museica (2014): “Si, mi ricordano un’opera di Manzoni, credo, e non parlo di Alessandro, ma Manzoni Piero”.

Ho sempre considerato la pittura una questione di impegno morale più che un fatto plastico, ma ora che in nome dell’avanguardia tutti si sono messi a fare quadri bianchi la cosa sta diventando altamente immorale e dovrò essere ancora più rigido per evitare la confusione e gli equivoci
Piero Manzoni