« Povera Roma mia de travertinote sei vestita tutta de cartone
pe’ fatte rimira’ da ‘n imbianchino
venuto da padrone! »
Fortemente danneggiata dallo smog e dall’incuria, la statua di Pasquino è stata restaurata alla fine del 2009, per essere inaugurata, assieme ad una nuova recinzione con colonnette di travertino, il 10 marzo 2010.Attualmente, inoltre, non è più possibile attaccare le “pasquinate” direttamente sulla statua o sul suo basamento, come da tradizione: a tale scopo è stata infatti allestita un’apposita bacheca ai piedi di Pasquino.
Le cosiddette pasquinate erano dei cartelli e dei manifesti satirici che durante la notte venivano preferibilmente appesi al collo di alcune statue (fra cui Pasquino, da cui il nome) posizionate in luoghi frequentati della città, in modo che al mattino successivo potessero essere visti e letti da chiunque, prima che la polizia dell’epoca li asportasse. Le pasquinate colpirono molti personaggi, la maggior parte dei quali noti per aver preso parte all’esercizio del potere temporale del papato. Le pasquinate furono numerosissime ed esposte a distanza di brevi periodi di tempo. Clemente VII de’ Medici, ad esempio, morì dopo una lunga malattia; su Pasquino apparve conseguentemente un ritratto del suo medico, che forse era giudicato non esente da responsabilità circa l’esito delle sue stesse cure, ma tenuto conto delle qualità morali del suo paziente fu indicato come:ecce qui tollit peccata mundi (ecco colui che toglie i peccati del mondo).
Le pasquinate non erano soltanto espressione di un malcontento popolare: in molti casi quegli stessi rappresentanti del potere che erano normalmente, almeno come categoria, oggetto di lazzi e frecciate, le usarono a fini propagandistici contro avversari scomodi, magari sfruttando l’arte poetica ed ironica di letterati che si prestavano al gioco (probabilmente opportunamente ricompensati), come ad esempio Giambattista Marino, Pietro Aretino ed altri. E l’occasione più ghiotta per spargere maldicenze contro concorrenti scomodi nel tentativo di ottenere il favore, almeno popolare, era l’elezione di un nuovo pontefice, che diventava un vero campo di battaglia di una campagna elettorale che si combatteva a colpi di invettive propagandistiche. Non si trattava, in queste situazioni, della classica opposizione al potere, ma solo di favorire qualcuno per la scalata a quel potere.
È in quest’ottica che taluni leggono la famosa citazione seicentesca riferita a Papa Urbano VIII (Barberini), “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” (“Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini”). La frase, la cui attribuzione a Pasquino non è comunque certa, faceva riferimento al prelievo di bronzo contenuto nei grandi monumenti della Roma antica, come il Colosseo e nelle travature del Pantheon, che Urbano VIII commissionò al Bernini per la costruzione del monumentale baldacchino conservato al centro della Basilica di S.Pietro in Vaticano.
Nel 17esimo le pasquinate, come genere letterario, incontrarono una certa fortuna anche lontano da Roma, soprattutto a Venezia, il cui portavoce fu il Gobbo di Rialto e, in misura minore, a Firenze, con il celebre porcellino della Loggia del mercato nuovo.
Il nome!
L’origine del nome è avvolta nella leggenda, di cui esistono diverse versioni. Secondo alcuni Pasquino sarebbe stato un personaggio del rione noto per i suoi versi satirici: forse un barbiere, un fabbro, un sarto o un calzolaio. Secondo Folengo mastro Pasquino sarebbe stato un ristoratore che conduceva il suo esercizio nella piazzetta. Un’ipotesi recente sostiene invece che fosse il nome di un docente di grammatica latina di una vicina scuola, i cui studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche: sarebbero stati questi a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. Vi è anche un’altra versione che vorrebbe collegare il nome della statua a quello del protagonista di una novella del Boccaccio, morto per avvelenamento da salvia, erba nota invece per le sue qualità sanifiche: il nome quindi sarebbe stato ad indicare chi viene danneggiato dalle cose che si spacciano per buone (come poteva essere, in quel contesto, il potere papale). Più articolata e dettagliata è infine la versione che segue, tratta dalla ‘Ragione d’alcune cose’ di Lodovico Castelvetro (1505-1571), avendola egli appresa dal ferrarese Antonio Tibaldi ( 1462-1537), detto ‘il Tebaldeo’, il quale visse a Roma gran parte della sua vita e vi morì:
… Diceva adunque che fu in Roma, essendo egli giovinetto, un sartore assai valente di suo mestiere chiamato per nome ‘maestro Pasquino’, il quale teneva bottega in Parione, nella quale egli e i suoi garzoni, che molti n’aveva, facendo vestimenti a buona parte de’ corteggiani, parlavano liberamente e sicuramente in biasimo de’ fatti del Papa e de’ cardinali e degli altri prelati della Chiesa e de’ signori della Corte; delle villane parole de’ quali, siccome di persone basse e materiali, non era tenuto conto niuno né a loro data pena niuna o malavoglienza portata di ciò dalla gente; anzi, se avveniva che alcun, per nobiltà o per dottrina o per altro riguardevole, raccontasse cosa non ben fatta d’alcun maggiorente, per schivare l’odio di colui che si potesse riputare offeso dalle parole sue e potesse nuocergli, si faceva scudo della persona di maestro Pasquino e de’ suoi garzoni nominandoli per autori di simile novella, in tanto che in processo di tempo passò in usanza comune e quasi in proverbio vulgare l’attribuire a maestro Pasquino ciò che accadeva nell’animo, a ciascuna maniera d’uomini, di palesare in infamia de’ capi ecclesiastici e secolari della Corte. Ma poscia, morto lui, avvenne che, lastricandosi o mattonandosi la strada di Parione, una statua antica di marmo in parte tronca e spezzata, figurativa d’un gladiatore, la quale era mezza sotterrata nella via pubblica e col dorso serviva a camminanti per trapasso acciocché non si bruttassero i piedi nelle stagioni fangose, fu dirizzata in piedi per mezzo la bottega che fu di maestro Pasquino, perciocché, giacendo come faceva prima, rendeva il lastricamento o il mattonamento meno uguale e men bello; alla quale, essendosi dal popolo imposto il nome di colui che quivi vicino soleva dimorare e dinominandosi ‘maestro Pasquino’, gli avveduti corteggiani e cauti poeti di Roma, non si scostando dall’usanza, già invecchiata, di riprendere i difetti de’ grandi uomini come divulgati da maestro Pasquino, a quella assegnarono e assegnano i sentimenti della lor mente quando vollero o vogliono significar quello che non si poteva o non si può, facendosene autori, raccontare o scrivere senza evidente pericolo, siccome avviene a chi ha ardimento di muover la lingua o la penna in disonore di coloro che possono e vogliono nuocer per cagioni ancora vie più leggiere…Cotale adunque raccontava il Tibaldeo essere stato il cominciamento di maestro Pasquino e cotale essere stato ed essere e dovere essere il soggetto e la forma de’ suoi ragionamenti…
Sai quante pasquinate ci sarebbero da scrivere oggi…. |